L’arcivescovo Delpini a Lecco: l’importanza dei legami umani

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Questa mattina l’arcivescovo mons. Delpini ha celebrato in Basilica la s. Messa per la Giornata mondiale del malato con i pazienti della RSA Borsieri – Colombo, i pazienti della Casa di Cura Talamoni e diversi infermi della città, che hanno potuto raggiungere la basilica grazie alla collaborazione con Unitalsi.

Un momento in cui l’arcivescovo, nel ringraziare i diversi operatori del territorio che si occupano della cura degli ammalati, ha voluto ricordare come il prendersi cura passa attraverso i legami umani. In un presente in cui troppo spesso la superficialità e la presunzione dei potenti e dei singoli rischiano di far precipitare la collettività nell’individualismo e nella rassegnazione, il riscoprire la forza dei legami e degli incontri è ciò che serve al nostro tempo.

“La scienza ha fatto enormi progressi, la tecnologia è capace di prestazioni è meravigliose per potenza e per precisione, la creatività percorre vie sorprendenti, così che oggi si conoscono malattie, si producono farmaci, si compiono interventi che ottengono guarigioni che erano impensabili fino a ieri. Ma contro la stupidità umana non s’è ancora trovato rimedio. “Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?”(Is 55,2).

La stupidità è il principio della superbia e della presunzione: i potenti, gli spreconi, i superbi con i loro pensieri si ostinano e persino si vantano nelle loro prevaricazioni. La stupidità è il fondamento dell’individualismo. L’ottusa inclinazione a sentirsi il centro del mondo, a vivere pensando di essere il criterio del bene e del male, la pretesa di essere serviti inducono alla solitudine desolata e disperata. Anche la rassegnazione è frutto della stupidità. La rassegnazione si respira nel nostro tempo: sembra infatti ovvio a molti che la vita è destinata alla morte, che il nostro destino è l’inevitabile finire nel nulla. Se siamo in cammino verso la morte e il nulla, allora non vale la pena di camminare, di sperare, di orientare la ricerca a un fine, a un compimento. Conviene rassegnarsi, cercare di spremere dalle cose, dalle persone, dalla terra, quello che si può per godere la vita. E così sperimentare continuamente che nessun possesso, nessun capriccio mantiene le promesse: hai speso il tuo guadagno per ciò che non è pane, hai cercato la felicità nella direzione sbagliata. La celebrazione della XXXII Giornata del malato può essere un’occasione perché l’esperienza inevitabile della malattia diventi il percorso di una sapienza che guarisce la stupidità e nel momento della prova possiamo imparare ciò che veramente è necessario.

Papa Francesco incoraggia a reagire alla stupidità  che induce all’individualismo che suggerisce l’indifferenza e pensa di aver fatto il suo dovere quando consegna i malati ai protocolli e alle medicine. I percorsi di cura, di assistenza devono essere percorsi umani, fatti di tecniche e di affetti, di organizzazione e di relazioni, di interventi specialistici e di speranza condivisa.

Questa è l’ispirazione che ha motivato i santi della carità a prendersi cura dei malati, degli anziani, come fratelli e sorelle con cui condividere l’impegno per guarire e la speranza che vince anche la morte – ha chiosato l’arcivescovo Delpini- Queste istituzioni di carità che sono diventate istituzioni prestigiose per competenze e di eccellenza nella cura contribuiscono a rendere la città abitabile e desiderabile. Sono chiamate non solo ad essere case di cura, ma case di comunità, un rimedio contro la stupidità”.

L’attività di cura stessa, oltre alle pratiche mediche e sanitarie, passa attraverso la relazione e l’accettazione del prossimo. Un’accettazione e un’apertura testimoniata anche dalla figura di Maria, nella ricorrenza della Beata Vergine Maria di Lourdes.

Una riflessione approfondita poi nella visita dell’arcivescovo al Capolavoro per Lecco 2023: nel rapporto fra Abramo e Isacco che muta da possesso a dono, si supera un’errata concezione e si scopre che il vero amore rende liberi, non possiede. Essere padre, ma anche madre, marito, compagna, figlio, amica, non significa sentirsi padroni dell’altro per potervi esercitare un diritto. L’altro, pur se saldamente legato a noi, non è “nostro”, ma ci è dato in dono.
La visita si è poi conclusa con il saluto ai curatori, ai volontari e ai ragazzi del PCTO presenti in mostra.

Il racconto fotografico. Foto di Monica Fagioli.

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