L’ingresso del nuovo prevosto don Bortolo Uberti

La città di Lecco e la Comunità Pastorale Madonna del Rosario ieri hanno dato ufficialmente il benvenuto al nuovo prevosto di Lecco, don Bortolo Uberti.

La cerimonia di insediamento si è aperta con un momento di preghiera presso il Santuario di Nostra Signora della Vittoria. Quindi don Bortolo, accompagnato dai sacerdoti della città, dal consiglio pastorale, dalle autorità civili e militari e dai fedeli si è messo in cammino verso la Basilica di San Nicolò. In piazza Cermenati l’incontro con i ragazzi dell’oratorio e i saluti istituzionali: presenti il Sindaco di Lecco Mauro Gattinoni, diversi altri primi cittadini dei Comuni del territorio, il Vicepresidente della Provincia Mattia Micheli, i rappresentanti delle forze dell’ordine, della Prefettura, delle diverse associazioni di categoria e delle associazioni cittadine e territoriali.

Dopo i saluti il corteo è giunto nella Basilica di San Nicolò per la Santa Messa solenne, durante la quale il nuovo prevosto, accompagnato dal vicario episcopale mons. Gianni Cesena, ha ufficialmente assunto gli impegni pastorali.

L’operosità e la generosità dei lecchesi e il valore della cura, della parola, della diversità e dell’accoglienza sono stati al centro dell’omelia del nuovo prevosto: “Abbiamo percorso insieme, simbolicamente, alcune vie della città e nel tragitto mi ha accompagnato l’immagine evangelica della vigna. La parabola di Matteo ci porta dentro un terreno fertile e tra chi lì ci lavora. Ci fa stare in quel luogo dall’alba al tramonto, ci racconta di un padrone di casa e di gente chiamata a giornata, ci dà l’idea di un posto grande con molti filari e tanti contadini. Nella Scrittura sacra la vigna rappresenta il popolo di Dio, la sua chiesa, ed è un’immagine che parla, questa sera, alla comunità lecchese. Mi piace, anzitutto, ricordare l’abate Stoppani che, ne Il bel paese, scriveva “la città di Lecco si appoggia da tramontana a quello stempiato macigno” (il San Martino) che la difende “dai gelati aquiloni” ed è una città “in mezzo ai campi ed alle vigne, fra il rumore incessante di cento e cento officine, dove il ferro e la seta si lavorano con pari abbondanza e quasi con pari finezza”. Le vigne, col passare del tempo, sono praticamente scomparse ed anche molte officine sono venute meno. Ma queste parole che tratteggiano la bellezza della natura e della gente che la abita, quella dei campi e delle vigne, del ferro e della seta, quella del lavoro svolto con abbondanza e con finezza, è una bellezza che continua, che custodiamo gelosamente, che coltiviamo nelle sfide di un’epoca nuova e consegniamo alle giovani generazioni.

Perché ciò avvenga il vangelo ci parla di un padrone di casa che ha cura della sua vigna, se ne preoccupa, si dà da fare, cerca incessantemente operai ad ogni ora del giorno. Quel padrone è il Signore che ci riempie di stupore con la sua dedizione appassionata e ci consola con la sollecitudine di chi non vuole dimenticarsi di noi, né trascurarci o lasciarci soli. Senza questa cura e questa chiamata non ci sarebbe il lavoro dei vignaioli e il frutto maturo tra i tralci. A noi oggi è chiesto di non dimenticarci di lui nelle nostre giornate piene e nelle nostre vite di corsa. Coltiviamo, dunque, la coscienza della sua vicinanza. Non dimentichiamo la sua misericordia, lasciamo agire il suo Spirito e facciamo crescere in noi il seme della Parola, una Parola che sa toccare ancora il cuore di tutti, ma proprio tutti. Solo così, in questo tempo, tra le ferite del mondo, non perderemo il senso e l’anima di ciò che facciamo e di ciò che siamo. Lui ci viene a cercare e ci aspetta se ritardiamo, e noi lasciamoci trovare negli angoli delle nostre piazze esistenziali. Gusteremo così la bellezza dell’incontro con Gesù, prenderemo coscienza che la vigna è sua ed è lui che guida e dà forma alla comunità cristiana e all’intera città. Se ce ne dimenticassimo potremmo rovinare tutto, disperderci o distruggerci, come Gesù racconterà in un’altra parabola, quella dei vignaioli omicidi.

La bellezza di una comunità passa poi dal prender coscienza che in quella vigna c’è tanta gente: qualcuno è lì fin dall’alba, altri sono arrivati dopo e altri ancora addirittura all’ultima ora, poco prima dell’imbrunire, e tra questi mi ci metto anch’io. Quel terreno darà frutto se lavoreranno insieme. È un’immagine vera della chiesa che vogliamo costruire: una chiesa fatta dalle storie, anche diverse tra loro, e dalle collaborazioni di tanti, da una rete di legami e di condivisione, dall’accoglienza ospitale e dalla corresponsabilità concreta. Una chiesa che sta tra i filari della quotidianità, dentro la cultura del tempo, tra le contraddizioni dell’umanità: lì suda e s’infanga. Lì gioisce e fa festa. Lì guarda fiduciosa al domani perché i frutti maturino in una chiesa unita nella comunione fraterna ma non ripiegata su se stessa; in una chiesa aperta ad ogni uomo e donna della città ma non dispersa nella confusione o scoraggiata nelle prove. E come accade nella parabola, nella vigna c’è posto per tutti, ciascuno per quello che può fare, senza che altri chiedano dove fossero stati prima o perché siano arrivati in ritardo. In questa vigna si vigila sulla tentazione dell’invidia, della gelosia o della mormorazione, come accade agli operai della prima ora,
imparando a vedere il meglio e a costruire il bene.

Ed è proprio il bene, il bene comune, che fa di una città, una città bella, nella quale nessuno è escluso o scartato, nessuno resta indietro e gli ultimi provano ad essere primi. La vigna porterà frutto e quel frutto riempirà di gioia coloro che lo gusteranno. Non sarà grazia solo per il padrone e per i vignaioli, ma anche per i loro figli, gli amici, l’ospite, il viandante, lo straniero. Gusteremo così la ricchezza delle diversità, la creatività di alcuni, la laboriosità di altri, i sogni dei giovani e la sapienza dei vecchi; ascolteremo chi da sempre abita la città e chi la attraversa per lo studio, il lavoro, il turismo. Condivideremo le domande, cercheremo le risposte, nel rispetto delle competenze e degli ambiti di ciascuno. La seta e il ferro, così diversi, come diceva Stoppani, si lavorano entrambi con abbondanza e finezza. Non ci preoccupiamo di star bene noi ma cercheremo il bene di tutti, alla maniera del padrone buono della parabola. E il Manzoni, ne I promessi sposi, parlando di donna Prassede, ci ricorda: “Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono”. Maria, Vergine del Rosario, apra i
nostri occhi a conoscere il bene, ci faccia stare con il cuore dentro le nostre passioni, ci renda sapienti nei giudizi e intelligenti nei pensieri”.

La giornata di festa si è conclusa in Oratorio San Luigi con un rinfresco aperto a tutta la cittadinanza.

Il testo dell’omelia

La registrazione della Messa Solenne

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