Vivere la festa del lago e della montagna ed invocare sulla città la benedizione di Dio, significa lasciar risuonare, nella bellezza della cornice delle nostre acque e dei nostri monti, l’eco della voce di Dio che vince le solitudini e le paure.
Oggi ciò che più ci manca è proprio la fiducia: non ci fidiamo più di nessuno. A volte nemmeno delle persone che ci sono vicine e a cui vogliamo bene: nella coppia, tra genitori e figli, tra parenti. Abbiamo perso fiducia nelle istituzioni, nella Chiesa, persino nelle associazioni e nelle diverse forme di aggregazione. Chi si fida, pensiamo, è un ingenuo. Se Giuseppe non si fosse fidato della parola di Maria e di quella dell’angelo la nostra storia sarebbe stata un’altra storia. Se oggi viene meno la fede, si fa fatica a credere, è anche perché abbiamo perso la capacità e il coraggio di fidarci degli altri, a volte di noi stessi, della nostra comunità.
Non si disegna il volto di una città se non ci fida e ci si stima reciprocamente. Ciascuno poi, da parte sua, farà il possibile per essere affidabile di fronte all’altro. Ma perché fidarsi? Giuseppe lo fa con Dio che vince la paura (“Non temere” è la prima parola dell’angelo, la stessa che aveva detto anche a Maria) e gli affida un compito: prendi con te Maria e dai un nome al bambino che nascerà.
Dal disorientamento si passa alla responsabilità, ma solo dopo un atto di fiducia, addirittura di obbedienza. E la piccola storia di una famiglia, in un villaggio sperduto delle montagne di Galilea, diventa una storia capace di segnare le sorti del mondo.
La fiducia genera responsabilità e appartenenza: questo urge oggi anche alla nostra città. Questo è ciò che fa bene alla città. Nella culla, nella quale la conca della natura di Dio ci ospita, vogliamo far crescere la fiducia reciproca, la responsabilità lungimirante e un’appartenenza entusiasta.
dall’omelia di mons. Bortolo Uberti, prevosto di Lecco
