Il saluto di don Davide alla comunità pastorale

Avevamo sperato che una simile celebrazione potesse essere vissuta non oggi ma tra molti anni.
La realtà si offre a noi con i segni, magari poco comprensibili, della Provvidenza e noi non possiamo sfuggirle o detestarla: ci è chiesto di abitarla e interrogarla.
Ho oggi l’occasione per farlo, elevando con voi un ultimo inno di ringraziamento al Signore: San Paolo ci raccomanda di obbedire al comando di Cristo “ogni volta che mangiate di questo pane e bevete al calice voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”.
Ci è dato oggi, ancora per una volta, il dono di pregare insieme, noi qui nella Basilica di San Nicoló con coloro che da lontano si sono uniti a questa celebrazione tramite internet e la televisione.

Saluto dunque ciascuno, a partire da tutti i sacerdoti concelebranti, in particolare il vicario episcopale della Diocesi di Milano mons. Gianni Cesena e quelli della comunità pastorale Madonna del Rosario: don Giuseppe Brivio, don Alberto Barin, don Massimo Berera, don Marco della Corna, don Cristiano Mauri, don Fernando Pozzoli, don Giambattista Rizzi.
Nel nuovo parroco don Bortolo Uberti – che stimo e a cui prometto l’aiuto anzitutto della mia preghiera – i preti e tutti voi troveranno guida sicura e intelligente.
In questi anni ho potuto condividere la fraternità sacerdotale anche con monsignor Angelo Brizzolari, don Filippo Dotti e don Paolo Ventura che ringrazio per la collaborazione. Dall’altare del cielo sono certo staranno partecipano a questa liturgia anche don Celeste Delle Donne e il diacono Armando Comini che ho conosciuto e stimato nel ministero tra di voi.
La fraternità sacerdotale che qui ho sperimentato è stata essenziale e vera, caratterizzata da gesti sobri, scelte condivise, parole schiette, amore per la chiesa e il Signore, passione per la gente.
Di questo ve ne sono grato perché come spiegava don Lorenzo Milani, “un prete isolato è inutile, non sta bene […] e non serve a niente”.
Saluto le consacrate, in particolare le Suore Missionarie di San Francesco Saverio, ammirevoli per la dedizione, la preghiera e il sorriso. Siete venute da lontano, dal Myanmar, per ricordarci quanto abbiamo bisogno di tornare al Signore. Un pensiero anche ai nostri missionari e missionarie sparsi nel mondo che in questi anni, tornando nella propria terra, mi hanno raggiunto per la reciproca conoscenza: vi chiedo di pregare per me.
Grazie a tutte le collaboratrici e collaboratori, ai volontari, ai dipendenti che in questi anni, in molti modi e in molte forme, nelle parrocchie, nelle associazioni di antica e recente costituzione, nei progetti fatti nascere insieme e quelli di precedente ideazione, hanno reso possibile ogni iniziativa, ogni celebrazione, ogni impresa grande e visibile e ogni singola azione discreta, l’attività ordinaria spesso nascosta delle nostre parrocchie di San Nicolò, San Materno in Pescarenico, San Carlo al Porto, al santuario della Vittoria.
Il vostro servizio generoso mi ha permesso di conoscere quanta passione c’è in molte persone e quanto è diffusa e silenziosa disponibilità al bene.
Siete buona notizia che spesso non viene raccontata.
Il vostro impegno competente ha donato alla Città esperienze straordinarie e mostrato un volto di Chiesa vicina e accogliente verso tutti.
Tanti collaboratori sono attivi da ben prima del mio arrivo, molti si sono aggiunti in seguito, anche venendo da lontano per provenienza geografica e culturale: ciascuno di voi, con le sue originalità e differenze, è stato e sarà determinante per ascoltare – nel proprio ambito di impegno – ogni donna e ogni uomo e spezzare con tutti il pane buono del Vangelo di Cristo.
Nessuna iniziativa in questi anni è stata “del prevosto”: ogni gesto è stato espressione della comunità, sostenuto da una rete sorprendente di benefattori che mi hanno fatto molte volte esclamare con Renzo Tramaglino che “la c’è la Provvidenza”. E proprio per questo iniziative e progetti proseguiranno anche in futuro.
Una comunità cristiana è ricca, vitale e attraente se rende protagonisti anche chi ha biografie e identità differenti: non cedete alla tentazione della chiusura allontanando o non dando spazio a movimenti, associazioni, soggetti che desiderano vivere l’avventura autentica della fede in un modo che non è quello tradizionale della parrocchia. Io ho beneficiato di questa amicizia e sono grato per la fiducia ricevuta e offerta, sono cresciuto nel confronto con persone e realtà con esperienze e punti di vista differenti, a volte anche critici.

Saluto cordialmente le autorità civili e militari, le istituzioni accademiche, scientifiche, culturali, imprenditoriali e caritative, di cui è ricca la nostra Città. Vorrei esprimere a tutti il mio sincero ringraziamento per la leale e generosa collaborazione, per la grande benevolenza e per il paziente sostegno che avete offerto in questi sei anni per l’azione ordinaria e straordinaria messa in campo dalla comunità cristiana.
Una città, un territorio sono vivi e promuovono la vita di chi lo abita, se ogni organizzazione sa mettersi a servizio – per quanto di competenza – delle persone e delle famiglie, senza racchiudersi nel castello del proprio esclusivo tornaconto o agendo in concorrenza, creando invece le condizioni affinché ogni soggetto sociale possa esprimersi nel protagonismo per il bene comune.

Ma vorrei specialmente ringraziare Dio in questa maestosa Basilica a me così cara: qui tante volte lo abbiamo supplicato, anche nel tempo della calamità della pandemia, stagione drammatica ma che abbiamo vissuto insieme nella fede e nella speranza, nella cura reciproca, con creatività, sperimentando quella potente forza della comunità che si sprigiona dalla confidenza con la presenza viva di Gesù Cristo.
Per sei anni qui e in tutte le nostre chiese abbiamo celebrato con sobria solennità i misteri e i sacramenti della fede, l’iniziazione cristiana dei nostri bambini, la gioia speranzosa dei matrimoni.
Insieme abbiamo anche vissuto il lutto per tanti cari defunti e tra questi alcuni che mi sono diventati amici: ho sperimentato come la partecipazione autentica al dolore – nel momento di una morte o della malattia – sia stata per me la straordinaria occasione di una comunione profonda e di annuncio della Risurrezione di Cristo e della possibilità della nostra risurrezione, il motivo fondamentale della nostra fede.
Gli anni che abbiamo vissuto insieme sono stati pieni di incontri, di gioie e di fatiche, di angosce e di speranze ma l’aiuto di Dio non ci è mai mancato.
Vorrei ringraziare Dio per mezzo della nostra Madonna del Rosario perché ha sempre vegliato con amore su questa città e su questo territorio. Una devozione particolare è nata qui e mi legherà per sempre a voi: da vostro parroco ho conosciuto San Nicolò, le storie e le tradizioni a lui attribuite, le provocazioni che da lui vengono per vivere la fede dentro le vicende quotidiane, per stare dalla parte dei più piccoli e deboli.
Rivolgendomi alla Madonna del Rosario e a San Nicolò, pregando davanti alle loro immagini, nelle loro feste e processioni dietro le loro statue ho affidato con fiducia al Signore ciascuno di voi e me: continuerò ora a farlo indirizzando lo sguardo sulla Cupola di San Pietro che ammiro dalla mia nuova casa e dalla sede del mio nuovo ministero.

Negli anni a Lecco – città in cui sono nato, mi sono formato e ho lavorato – mi sono sempre sentito profondamente legato, pur nella distanza, a Milano, al cuore della nostra amatissima Chiesa ambrosiana, per la quale sono diventato prete 24 anni fa: ordinato dal cardinale Carlo Maria Martini che mi ha inviato a Brugherio per una indimenticabile esperienza con i giovani e le famiglie; chiamato dal cardinale Dionigi Tettamanzi come suo portavoce e direttore della comunicazione della Diocesi; confermato nel servizio e stimolato alla sfida della cultura e del dialogo con la Città dal cardinale Angelo Scola, cui mando un saluto affettuoso e chiedo una benedizione; finalmente destinato qui dal nostro Arcivescovo Mario Delpini che in questi anni per tante volte ci ha visitato e che ringrazio per avermi ora assegnato alla parrocchia di Cernusco Lombardone per le celebrazioni festive.
Sempre ho obbedito accogliendo le destinazioni cui i superiori mi hanno mandato: a volte con grande entusiasmo, come quando venni qui, altre volte con timore e fatica, come nel passaggio che sto compiendo adesso.
Mi fido dello sguardo, della stima e della fede del cardinale Josè Tolentino de Mendonça con cui ho iniziato a collaborare in questo nuovo tratto di servizio alla Chiesa universale nell’ambito della Cultura e dell’Educazione presso la Santa Sede e papa Francesco.
Come fu per Elia nella lettura appena ascoltata, abbattuto e in un momento di fatica nel suo ministero, so che pure io riceverò la parola di consolazione e il sostegno del Signore Dio che dal cielo anche per me manda e manderà cibo e bevanda. E “con la forza di quel cibo” so che camminerò “per giorni e notti fino al monte di Dio”.
Intanto mi sostengono, nutrono e dissetano le parole, i gesti di affetto, i doni e le attestazioni di stima ricevuti oggi e in questi ultimi mesi da tutti voi e da molti che non possono essere qui: grazie.
Sono stato amato, accompagnato e sostenuto molto più di ogni mio merito.

Di me che posso dire?
Ho molto forte il senso dei miei limiti e sono consapevole delle mie lacune che sono ben più dei ritardi o delle altre inadeguatezze evidenti. Mentre di questo chiedo perdono, ancora una volta ringrazio Dio, perché ho sperimentato la sua misericordia, il suo amore proprio laddove sono mancante.
Posso dire che in questi sei anni con voi sono stato posseduto da un solo e bruciante desiderio: condividere l’esperienza della fede nel rapporto con Dio vissuto attraverso le forme della preghiera, della formazione, della carità, negli incontri personali, nelle amicizie.

Desiderio abitato con una scelta privilegiata: stare dentro la Città con una precisa proposta culturale, oltre i confini degli spazi sacri.
La dimensione culturale della fede non può essere considerata come la particolare propensione di un prete, la singolare passione di uno che ama il cinema, il giornalismo, la comunicazione, l’arte, i libri: come chiesa dobbiamo vincere l’estraneità tra la pratica cristiana e il concreto quotidiano.
Cosa altro dobbiamo fare se non questo?

La dimensione culturale della fede spinge i credenti al confronto con tutti e con tutto per interrogare e segnare ogni espressione e momento dell’esistenza, impedendo di ridurre la vita cristiana ad una convinzione teorica, al singolo gesto spirituale o all’azione liturgica.
Non per mia personale passione o diletto abbiamo investito insieme sulla cultura con espressioni che – solo grazie a tutti voi – sono clamorosamente cresciute divenendo emblematiche anche lontano da qui.
Abbiamo capito – iniziativa dopo iniziativa, anno dopo anno – che tutto del mondo ci interessa, che ogni respiro dell’esistenza invoca bellezza, che nessun gesto della vita può essere sprecato.
Lo abbiamo fatto senza anacronistiche barriere tra la parrocchia e la città, tra la chiesa e il mondo, senza diaboliche distinzioni tra chi dice di credere e chi no, tra chi va a messa e chi non ci va.
È lo stile con cui abbiamo pensato insieme il nuovo oratorio: non per rinchiudere ragazzi e famiglie in un fortino sicuro ma per offrire una casa dove tutti possano sentirsi accolti e amati.
Carissimi giovani, grazie per la vostra presenza, questo compito è particolarmente nelle vostre mani: vivetelo con coraggio, renderà piena la vostra vita perché renderà bella quella degli altri.

Il nuovo oratorio è ormai terminato: l’attigua piazza di comunità e le “perle” che qui si affacciano – la Casa della Carità, la Scuola Materna papa Giovanni XXIII, la Basilica, il Campanile, il Cinema Nuovo Aquilone – si offrono con le loro attività e con la loro profezia come cuore e dono per tutta la Città.
Il Vangelo è sale della terra e luce del mondo intero, non rete di delimitazione per garantire tranquillità ai cristiani, non ci è stato annunciato per essere soffocato dalla cupola di una basilica.
Il Vangelo chiede di essere seminato ovunque e al tempo stesso domanda che sia preparato il terreno affinché possa essere accolto e così germinare vita buona e speranza.

Ieri, 21 settembre, è iniziato l’autunno, stagione delle nostalgie e delle malinconie. Lo splendore dell’estate, della sua luce, del tempo abbondante e ricco di vita, incontri e vacanze, esperienze gratuite, sembra terminato. Questi giorni di ripresa del cammino ordinario nel lavoro, nella scuola, in parrocchia, nei servizi porta con sé un velo di tristezza e rimpianto.
A volte i sentimenti indotti dalle stagioni coincidono con quelli del cuore. Oggi l’inizio dell’autunno dipinge con qualche colore mesto anche questo congedo, questa festa che qui, e nei giorni precedenti nelle altre parrocchie, con impegno e passione straordinarie avete voluto allestire.
Ma questi giorni in cui comincia l’autunno è il tempo – anche nelle nostre terre – in cui si preparano gli orti per la campagna invernale e i campi per la semina del frumento, il protagonista delle letture che oggi abbiamo ascoltato.
Da un seme un germoglio, da un germoglio una spiga, da una spiga molti chicchi, da molti chicchi la farina, dalla farina il pane.
Questo autunno che viviamo insieme non è perciò il segno di un esperienza che finisce ma l’occasione di una nuova semina che potrà dare grano e pane per tutti, sostegno in modo particolare per chi come Elia è stanco e abbattuto.

È il pane che insieme e tra poco invocheremo nel Padre nostro, il pane della tavola e quello dell’Eucarestia: è un dono che viene a noi laddove coltiviamo il grano della preghiera, del lavoro, del servizio agli altri, specie se più poveri.

Insieme al grano del Vangelo continuiamo a seminare il desiderio del suo pane.
Le parole di Gesù che precedono il testo letto oggi raccontano di un male molto grave dei nostri tempi, che sta contagiando molti, quello della sazietà. “Avete mangiato e vi siete saziati”. Il problema di oggi è la sazietà. Siamo sazi di cose, oggetti, acquisti, visioni, social, esperienze. E ne vogliamo sempre di più. Siamo sazi di realtà “chiuse” che non ci conducono se non a loro stesse.
Siamo così colmi che non c’è spazio per altro, non c’è fessura: tutto rigidamente chiuso, e noi appesantiti e assopiti.
Tutti vogliono convincerci, saziarci con i loro slogan e le loro risposte: noi non abbiamo più fame di verità e futuro perché non sappiamo più farci domande.
Percorrete e proponete la strada della cultura per rendere autentica l’esperienza della fede: è una via promettente per porci domande, non farci riempire lo stomaco e il cuore di beni materiali e intrattenimenti superficiali. E desiderare così la risposta che è Cristo.

Interroghiamoci su ciò che vale, sul senso ultimo dell’esistenza, riscopriamo la fame del pane della vita e della fraternità che Gesù ci offre e che oggi spezziamo su questo altare.
Fame della sua parola, fame della sua vita, fame del suo modo di stare al mondo: “Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Questa vita per il mondo è quanto mi è chiesto nel nuovo servizio alla Chiesa universale, è il desiderio, la fame che vi lascio come dono, è la certezza che ho guadagnato in questi sei anni con voi.

Mons. Davide Milani, saluto alla comunità pastorale Madonna del Rosario, Basilica di San Nicolò, Lecco
22 settembre 2024

Il testo dell’omelia

Il racconto fotografico. Foto di Monica Fagioli e Giovanni Bresciani.

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