La Chiesa è la più antica del vecchio borgo e ancora oggi è particolarmente circondata dall’affetto e dalla partecipazione di tanti lecchesi.
La prima citazione della Chiesa di S. Calimero, o S. Marta, si trova nel Liber Notitiae attribuito a Goffredo da Bussero, compilato nella seconda metà del secolo XIII. L’elenco delle chiese tra cui appare “… Leuco ecclesia sancti Kalimeri …” mostra già costituito il tessuto urbano di Lecco, individuando il borgo circondato dai villaggi di Arlenico, Castello e Pescarenico.
La caratterizzazione della chiesa si deve alla Confraternita o Scuola dei Disciplini di S. Marta che si insediarono in S. Calimero nel Duecento, compiendo adattamenti per la vita monastica e per l’ospitalità di viandanti e pellegrini; ne modificò anche l’intitolazione che, con la fine del Settecento, divenne dedicata a S. Marta in modo unico e consolidato.
La prima data certa in cui i disciplini principiano la regola tramandata in un documento del 1573 è il 25 ottobre 1386.
In età carolingia la chiesa ha una sola navata ampia con volta non decorata, con pareti affrescate con immagini di santi. Sul fianco sinistro si apriva la cappella del Battistero, tutta dipinta, sul fianco opposto la cappella di S. Maria e S. Antonio, con pareti dipinte di azzurro. Divisa da una grata era la cappella maggiore, a pianta quadrata coperta con una volta a crociera e le immagini dei quattro Evangelisti; nella parete Sud verso la sacrestia, una in una finestra quadrata con vetri colorati vi era l’effige di S. Marta. Un piccolo portale dalla chiesa immetteva al campanile. Esternamente, davanti alla chiesa e sul fianco meridionale vi era il cimitero. Tutto il complesso religioso venne appellato nel 1583 con il nome di Rochayolla o Rochayola sito tra le attuali Via Mascari e Via Bovara, con la piazzetta che dal 1489 venne chiamata platea de rochayola e successivamente dal 1691 piazza di S. Calimero.
Nel 1615 il cardinale Federico Borromeo definiva la navata di S. Marta “Elegans horatorij huius architectura”. Demolita la parete meridionale, la navata ebbe un ingrandimento su quel lato di circa 1,5 mt; venne eretto un robusto cornicione con la volta a sei vele coordinata con il presbiterio. Fu costruita la sacrestia eretta nella posizione attuale.
La realizzazione del grande affresco che decora la volta presbiterale risale al 1725. Raffigura la Santa patrona, già trasfusa nella gloriai un cielo dorato, con la guida, nell’arco, della Fede con il calice, assisa sulla roccia e della Carità fiammata in atto di allattare il putto.
Nel 1732, verificate le fondamenta, viene prolungato il basso campanile di circa 3,5 mt e successivamente viene alzata la facciata.
L’arciduca Giuseppe decretava nel 1786 lo scioglimento della Confraternita di Santa Marta e contestualmente la vendita all’asta dei suoi beni. Solo nel 1795 venne ricostituita la veneranda Scuola del SS. Sacramento, da secoli eretta nella prepositurale, con nuova sede in S. Calimero.
Con legge dell’11 marzo 1798 l’amministrazione pubblica assegnava al Circolo Costituzionale dei Patrioti di Lecco della Repubblica Cisalpina la chiesa di S. Marta con l’intento di trasformarla in un teatrino. Sciolto il Dipartimento, la chiesa incamerata dal Governo della Cisalpina, passava di proprietà a Guglielmo Pagani che il 18 maggio 1799 donava alla Fabbriceria della Prepositurale di Lecco.
Frattanto il Demanio chiedeva di utilizzare la chiesa come quartier militare, tanto da divenire anche ricovero dei cavalli fino al 1816. Nell’occasione della visita dell’imperatore d’Austria e re del Lombardo Veneto una petizione venne inviata per chiedere l’esenzione della chiesa da alloggi militari che fu concessa il 18 giugno 1816. Con assoluta rapidità, il 28 luglio dello stesso anno si dava corso ai restauri più urgenti sotto la guida dell’architetto Giuseppe Bovara. In quell’occasione venne allestito l’altare in stucco opera di Giuseppe Enrico e Giacomo Anghileri, oltre a rifacimenti decorativi.
Nel 1822, in previsione dei lavori di ingrandimento della Prepositura, era stata portata in S. Marta la statua della Santa, restaurata a cura dello stesso Bovara; nel 1823 è documentata la riparazione del tetto della chiesa, della cantoria con le stanze annesse e imbiancata la chiesa e s’aprivano a lato dell’altare maggiore le due nicchie laterali destinate alle statue di S. Marta e S. Antonio.
Nel 1829 il Cardinale Carlo Gaetano Gaisruck concedeva al Prevosto di Lecco don Antonio Mascari la facoltà di creare le stazioni della Via Crucis in S. Marta; nel 1847 furono portate a tre le campane e la Confraternita tornò ad officiare in S. Nicolò, dopo più di cento anni in S. Marta. In quegli anni la festa del S. Rosario si avviava a diventare la principale celebrazione della città e l’antica statua della Vergine, già alienata, fu posta al centro dell’ancona nel 1871.
Nel 1865 il Comune di Lecco avanzò l’ipotesi di una possibile occupazione di S. Marta come Ospitale sussidiario per i vaiolosi; come successe altre volte la chiesa di S. Marta era destinata a supplire le deficienze pubbliche tant’è che nel 1898, il sindaco ing. Giuseppe Ongania comunicava al Prevosto che occorre mettere a disposizione la chiesa di S. Marta per ospitare 150 uomini di truppa di passaggio in questo Comune.
Il 3 gennaio 1897 la chiesa di S. Marta viene affidata ai Padri delle Stimmate perché potessero celebrare le S. Messe e amministrare i sacramenti.
Intorno al 1910 l’uso della chiesa viene regolamentato, affinché lo spazio potesse essere chiaramente utilizzato dalla Confraternita del Santissimo, la quale collocava vari suoi arredi nell’edificio, vi si componeva per le congregazioni e proseguiva l’antico uso della festa solenne di S. Marta con la vendita dei michini, in chiesa o sotto il portico d’accesso.
Negli anni Venti del secolo scorso, l’interesse verso l’edificio fu ulteriormente ravvivato da Umberto Pozzoli con molti articoli fondamentali per la conoscenza ed il recupero dell’edificio, oltre a significative notizie sul significato devozionale del luogo e dei riti.
Nel secondo dopoguerra il tempio riacquistava ulteriore visibilità con i primi restauri della volta, realizzati da Edoardo Fumagalli. Tra il 1959 e 1960, l’architetto Bruno Bianchi messe a punto le Indicazioni per il restauro e la conservazione della Chiesa di S. Marta, che vennero poi realizzate assieme al contestuale riordino dell’organismo per adempiere alle moderne esigenze della parrocchia, quali il riscaldamento grazie alle disposizioni testamentarie di Innocente Vismara.
Agli anni ’80 dello scorso secolo risale un ulteriore importante restauro della chiesa, preceduto da uno scavo archeologico scientifico che ha consentito di conoscere e ricostruire le dimensioni della primitiva struttura del fabbricato, con l’installazione di un nuovo impianto di riscaldamento radiante al suolo con nuovo pavimento. Sulla parete di sinistra della navata fu riaperta la cappella che fino al 1954 conteneva un bassorilievo in gesso con S. Francesco in estasi davanti al Crocifisso. Più anticamente questo spazio, con maggiore profondità, era destinato alla cappella di s. Carlo. La grande nicchia racchiude ora l’antico Crocifisso processionale della Confraternita, affiancato dai suoi cerofari in legno dipinto e dorato.
Sempre sulla parete di sinistra è riapparsa la porta arcuata che dalla navata conduceva alla base del campanile, ora adattata a locale per le confessioni.
Quello che nella pianta del 1583 era definito e disegnato come “portico”, poi occupato dai disciplini, ha offerto una delle sorprese più inattese: un affresco quattrocentesco raffigurante un “Ecce Homo”, il Cristo della Passione, che accoglieva i derelitti e i pellegrini, che venivano alloggiati nelle stanze soprastanti.
L’architettura dell’altare maggiore, eseguita con intonaco e stucco dipinto a finto marmo, ricoperto da molteplici strati di vernice, venne ricondotta ai suoi colori naturali chiari e luminosi.
Anche la pulitura e il restauro del grande affresco della volta del presbiterio ha visto riapparire il cromatismo originario aereo e trasparente, in precedenza nascosto sotto una coltre scura di depositi di fumi e sporco.
Negli stendardi della confraternita appesi alle pareti e nel crocifisso affiancato dai due grandi ceri si possono vedere segni delle antiche processioni e della devozione che accompagnavano la festa di Santa Marta. Infatti, nelle solenni processioni del Corpus Domini e nella festa della prima domenica di ottobre i confratelli, ben visibili per la mantellina rossa dei suoi componenti, con veste bianca e cingolo ai fianchi di colore rosso o blu, sfilavano portando, in particolare, due bellissimi stendardi ricamati in seta ed oro; il primo sul lato rosso con il Santissimo affiancato dai patroni della città, Nicola e Stefano; sul lato bianco la Madonna del Rosario con San Carlo e San Domenico. Il Santissimo era al centro anche del secondo stendardo, mentre ai lati si notavano Sant’Antonio e San Materno; l’altro verso era dedicato alla Madonna Addolorata. Le consorelle portavano un velo nero ed un collare con medaglia.
La festa di Santa Marta cade il 29 luglio ed è una festa particolarmente sentita fin dall’Ottocento quando per l’occasione la statua – a quel tempo di proprietà della Confraternita – veniva esposta nella chiesa prepositurale al lato dell’altar maggiore. Nel 1822 fu collocata dove è ancora oggi; per questo evento si fece una festa di tre giorni cui presero parte “diciannove sacerdoti della pieve, le autorità civili e la banda dei dilettanti di Lecco” e che terminò con un ricco banchetto cui “tutti gli osti della città mandarono un pestone di vino”. I costi vennero in parte pagati da benefattori e in parte dalla vendita dei “michini”.
Qual è l’origine della devozione a Santa Marta? Che cosa ci fa quel mostriciattolo buffo ai piedi di Santa Marta? E perché la Santa tiene in mano l’aspersorio con relativo secchiello?
Uberto Pozzoli in un articolo pubblicato sul Resegone nel luglio del 1925 ci narra storie e curiosità attorno alla festa della santa: “bisogna ricordare che Santa Marta morì in Francia e precisamente a Tarascona presso Marsiglia circa l’anno 70; e che, come a Betania si era meritata il dolce rimprovero del Redentore per la troppa sollecitudine nelle domestiche cure, negli ultimi anni di vita si guadagnò la venerazione di tutto il popolo di Provenza per lo zelo apostolico col quale seppe convertire la città di Marsiglia e porre in fuga i mostri più spaventosi. È in ricordo di questa lotta contro i mostri che Santa Marta viene rappresentata con in mano il secchiello dell’acqua benedetta e con nell’altra l’aspersorio”. Il mostro nella nicchia non a caso è un mostriciattolo dal momento che la Santa liberò quelle terre da un grande mostro, la Tarasque, proprio facendolo rimpicciolire e rendendolo così innocuo.
Quanto ci sia di reale in questa storia è tutt’altra faccenda, tuttavia nel popolo provenzale la certezza che Santa Marta, e non solo lei, abbia attraversato il mediterraneo per raggiungere le coste di quella regione è fissata nel nome della città di Sainte-Marie-de-la-mer (le sante Marie venute dal mare) come memoria di quella traversata miracolosa.
Parliamo quindi di questi michini che attraversano il secolo. Una delizia? Secondo il Pozzoli “i figli, …andavano matti per i michini, non perché fossero buoni ma perché avevano un sapore diverso dal pane di tutti i giorni”. I michini, micro-pani non soffici, erano una medicina contro svariati malanni e toccasana propiziatorio per le difficoltà della vita. Era consuetudine delle nonne custodire nei cassettoni i michini di Santa Marta, pronti all’emergenza invernale contro i brividi del freddo allo stomaco.
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