OMELIA di Sua Eminenza il Cardinale Angelo Scola (trascrizione non rivista dall’autore)
«Saliamo a Gerusalemme e si compirà tutto ciò che fu scritto riguardo al Figlio dell’uomo…»(Lc 18,31). Così nel passaggio del Vangelo di Luca Gesù stesso parla della parte finale del suo itinerario terreno, missione di passione, di morte e anche di gloriosa risurrezione.
Mi ha colpito nella lettura di questo passaggio la parola compirà. Spesso, almeno a me succede, noi sottovalutiamo che, passo dopo passo, la nostra vita si compie, va al suo compimento. E la morte, come diceva il giovanissimo Egied van Broeckhoven gesuita che si fece operaio a Bruxelles e morì a 34 anni in un incidente sul lavoro, è ciò che “porta a compimento la mia vita”.
Siamo qui per fare memoria vitale del nostro carissimo amico vescovo Luigi che nella nostra zona ha passato, se non erro, vent’anni, tra la prima parte di quattro anni a Valmadrera e poi qui a Lecco, con l’impegno particolare di dirigere Il Resegone.
La nostra vita non può che essere partecipazione all’esperienza del compimento che il Figlio di Dio, accettando di farsi uomo, ha realizzato, ha attuato. Solo partecipando all’Apostolato per eccellenza di Gesù all’edificazione della comunità degli apostoli e dei discepoli, alla Sua passione, alla Sua morte e alla Sua resurrezione noi potremo – come ci ha detto la Seconda Lettura – non essere tristi, non essere come gente che non ha speranza. Quindi fare memoria del nostro amico don Luigi ci aiuta a capire cos’è la speranza, perché ci aiuta a stare nella realtà e a concepire il nostro cammino, in tutte le fasi della vita, dal concepimento fino al suo termine naturale, secondo il suo più ampio significato: noi ci stiamo compiendo, ci stiamo realizzando. E nulla, neanche la prova, la prova fisica e soprattutto la prova morale, quella legata alle nostre fragilità e ai nostri peccati, ci deve più far timore, perché noi abbiamo speranza, la speranza che Gesù stesso ci ha dato e che spesso don Luigi con sagacia, con insistente energia ci ha riproposto in tutti i passaggi della sua vita. Ma c’è un ma.
E il ma è la finale del Vangelo: «Non compresero nulla». Non dice che han capito solo in parte, come magari facciamo noi – penso a me stesso – con la vita di fede e con le conseguenze che essa ha. Non compresero nulla perché sono incapaci di dare fiducia al Testimone fedele. E quindi precipitano in un’attitudine di assenza di speranza.
Allora dobbiamo attaccarci molto all’affermazione di Giobbe, per quanto possa essere lontana dall’esplicitazione che il Vangelo fa di questa stessa affermazione: «Io lo vedrò. Io stesso». Noi vedremo, attraverso Gesù, il volto di Dio, vedremo Maria Santissima, vedremo tutti i Santi che in cerchio attorniano il Risorto, attraverso il quale riusciremo anche almeno a intravvedere il volto del Padre.
Questo domanda che sappiamo vedere i fatti. Nella sua introduzione al volume in cui sono stati pubblicati numerosi Editoriali di Sua Eccellenza Stucchi sul problema della vita, egli dice che il confronto con i fatti fu sempre ciò che lo ha ispirato nei suoi Editoriali e in ogni frangente della sua vita.
Perché non riusciamo a vedere i fatti? Perché perfino i fatti drammatici e comunque, alla fine, gloriosi – perché la Sua resurrezione, come la Tradizione ci insegna, ha reso gloriosa persino la croce – questi fatti spariscono facilmente lungo la nostra giornata, anche quando facciamo il segno di croce al mattino appena svegliati? Perché non li viviamo in piena fede, non li viviamo nell’ottica di una fede integrale che non annulla la persona, quindi non annulla né le incertezze né i dubbi che ci possono nascere. E però, tuttavia, li colloca nell’orizzonte giusto, così la ragione e la fede cooperano insieme alla nostra capacità di vedere i fatti e quindi alla speranza che da essi sempre rinasce, comunque sia la natura delle circostanze che siamo chiamati a vivere.
Ecco, il vescovo Luigi era un uomo sensibile, aperto, capace di ascolto. E soprattutto aveva capito una cosa fondamentale per ciascuno di noi, soprattutto per noi sacerdoti. Partiva sempre dall’accompagnamento della persona alla scoperta della sua vocazione, cioè della vita come risposta a una chiamata. Veniamo immessi nel mondo da un dono, siamo donati a noi stessi. E questo ci domanda un’esistenza responsoriale, capace di risposta. Comunque siano i rapporti tra di noi che cerchiamo sempre di voler dominare. Ma l’apertura all’idea della persona come segnata dalla vocazione è veramente la caratteristica del vescovo Luigi. Vocazione all’educazione dei fanciulli, vocazione all’educazione dei giovani in oratorio a Valmadrera, all’accompagnamento al matrimonio, vocazione al matrimonio, vocazione all’accoglienza e al rispetto della vita. Impressionante la quantità e la qualità degli editoriali che sono pubblicati nel volume “Per la vita, sempre”. Alla famiglia, ma anche alla consacrazione verginale. E questo gli ha dato una grande forza di incidenza nella vita ecclesiale e nella vita civile, non nella vita politica diretta.
Per me poi, oltre all’amicizia nata fin dai primissimi suoi tempi di presenza nel lecchese è stato prezioso come vescovo ausiliare e vicario episcopale, soprattutto nell’impegno con le religiose e nell’impegno con la Fondazione Paolo VI della Gazzada di cui lui si è preso cura con molta pazienza ed attenzione. E resta autorevole per la vita ecclesiale e civile della nostra città.
Io credo che i segni della sua presenza e della sua azione siano ben visibili a Lecco. E sono contento di aver avuto la possibilità di celebrare questa Santa Messa in sua memoria, ma domanderei di cercare di riprendere taluni dei segni della sua presenza e della sua azione che lui ha lasciato e, se siamo attenti, sono ancora ben visibili nella nostra città. Amen